Quella presentata è una scelta selezionata di autori divisi in tre sezioni tutte accomunate da un dichiarato omaggio all’Oriente che anticipa così le proiezioni verso Singapore di cui MIA nel prossimo ottobre sarà protagonista.
GUARDANDO A ORIENTE
In questa sezione sono presenti due famosi fotografi occidentali, lo statunitense Philip-Lorca diCorcia e il tedesco Thomas Struth nelle opere dei quali fa irruzione una personalissima visione dell’Oriente. Conservando come un prezioso elemento imprescindibile perché frutto di esperienza e studio lo stile molto contemporaneo che li caratterizza fino a renderli facilmente riconoscibili, i due autori si sono aperti nei confronti di una realtà così diversa dalla loro decidendo di mettersi in gioco in modo radicale. Della Cina hanno così assorbito le sensazioni, le atmosfere, il fascino carico di mistero riuscendo in tal modo ad andare oltre gli stereotipi e le convenzioni per coglierne, invece, le vibrazioni più intime. Il risultato sta in questa singolare sintesi carica di mille sfumature: è come se due mondi si confrontassero in un rapporto dialettico aperto a reciproche suggestioni perché l’occhio occidentale si posa con delicatezza e curiosità non rapace facendo propria la visione del mondo contemplativa di un Oriente che si offre all’osservazione con docile accettazione, come volesse mettere alla prova i fotografi e la loro capacità di indagine profonda.
L’ORIENTE CI GUARDA
La curiosità è uno degli stimoli più potenti in grado di dar vita a rapporti di autentica reciprocità. Li si ritrova nelle ricerche messe in atto da due noti autori giapponesi come Nobuyoshi Araki e Yamasuma Morimura che si divertono a mettere in mostra le loro indagini sul mondo occidentale con una libertà espressiva così intensa da apparire in ultima analisi spiazzante. Mentre Araki si cala totalmente nel personaggio e sa soffermarsi con inaspettata lievità perfino sull’affaccio di un balcone fiorito che si sporge su una calle veneziana, Morimura preferisce rivolgersi alla teatralità più classica fino a creare una sintesi che tiene ugualmente conto – con le sue maschere e i suoi gesti ritualizzati – della esteriorità ben codificata della scena giapponese e della riflessione interiorizzata cara al teatro occidentale di matrice borghese. Succede così che due fra gli autori più significativi della scena giapponese vadano a cercare fonte di ispirazione in quel mondo occidentale cui regalano sguardi severi e sorrisi gentili capaci di dar vita a stilemi e aspetti significativi dell’occidente.
L’ORIENTE ALLO SPECCHIO
Nella terza e ultima sezione, infine, sono presenti autori quali Naoya Hatakeyama, Daido Moriyama e Toshio Shibata che evocano con grande evidenza le atmosfere dell’Oriente. In questo modo il cerchio si chiude perché i fotografi, proprio per il fatto di essere imbevuti della loro cultura atavica, non cercano con ostentata evidenza vie di fuga da questa, preferendo piuttosto riflettere sul senso stesso della propria identità. In un sapiente gioco intellettuale, i tre fotografi escono da se stessi, si oggettivizzano facendo così in modo di mettere in luce la loro visione del mondo. Questa tiene certamente conto di mille importanti suggestioni (l’amore per l’underground caro a Moriyama, il paesaggio sincopato con cui si esprime Shibata, l’attenzione per l’ambiente che è una caratteristica costante nella poetica di Hatakakeyama) anche se poi le sa coniugare all’interno di un percorso espressivo di grande coerenza. In tal modo emerge un Oriente che del passato conserva la solidità di alcune linee guida – una su tutte la capacità di indagare nel profondo – ma poi fa emergere la forza espressiva di uno sguardo che sa essere contemporaneo.